#TESSUTO
#Tessuto è un esperimento interessante che sfrutta appieno le possibilità visive ed espressive della videoproiezione a teatro.
La videoproiezione, unica fonte di luce della messinscena, viene impiegata non solamente per mostrare i disegni creati all'impronta, dal vivo, dal videoartista Alessio Trillini con l'ausilio di una tavoletta grafica, ma, contemporaneamente, per illuminare anche l'attrice in scena.
Una pennellata bianca restituita in proiezione sulla scena mostra l'attrice squarciando il buio del palco mentre un gesto sulla tavoletta per cancellare il disegno la fa ripiombare nel buio.
La proiezione non raggiunge sempre e solo lo schermo di quinta ma viene intercettata anche dall'attrice che si vede così disegnare direttamente sul corpo di volta in volta un cuore o degli zampilli rossi sostenendo visivamente il racconto che la vede pungersi con uno spillo e cominciare ininterrottamente a sanguinare.
Ancora, alcuni oggetti semplici lasciati in scena, una sedia, una coperta patchwork sulla quale la madre della protagonista ha ricamato una sorta di diario, intercettano a loro volta la luce venendone in qualche modo ri-definiti, in maniera elegante e suggestiva.
La riuscita dello spettacolo la si deve molto all'interazione continua tra la protagonista che racconta della sua ricerca della madre e la costruzione di un universo grafico fatto da Trillini.
I segni grafici, tradotti in proiezione in sculture di luce per illuminare il buio della scena e, con pochi tratti aggiuntivi, diventano dei (di)segni grafici che circondano e inglobano l'attrice.
Così le strisce bianche videoproiettate tramite le quali l'attrice viene illuminata diventano i raggi di alcuni lampioni notturni, mentre alcuni punti colorati diventano le finestre di un panorama cittadino fatto di autostrade e grattacieli, o, ancora, la prospettiva variabile di una strada vista dal conducente di un'automobile è restituita graficamente da una serie di lampioni disegnati e animati.
Un impianto grafico che si declina secondo le esigenze della illuminotecnica e che, grazie all'esecuzione dal vivo, acquista il sapore della performance innervando con il lavoro estemporaneo ma ponderatissimo di Trillini tutta la pièce.
Su questo impianto elegante intelligente e splendidamente riuscito si innestano le timide improvvisazioni musicali di Lorf che suona chitarra e basso dal vivo intervenendo su una base pre-registrata.
La timidezza non risiede tanto nella musica di per sé, solida e mai banale, ma nella scarsa possibilità che la musica ha di interagire con la recitazione e con la performance grafica. Senza essere relegata nell'angusto ambito della funzione esornativa la musica costituisce un cantuccio emotivo che non ha mai la possibilità di assumere davvero un ruolo centrale tramite degli a-solo pieni e autonomi che ci sarebbe tanto piaciuto ascoltare.
In questa operazione interessante e fondamentalmente riuscita che suggella nell'incontro di tre competenze artistiche diverse una collaborazione che sfocia anche nella regia collettiva, quel che paradossalmente si rivela più debole è proprio la drammaturgia, il racconto del testo, che non riesce mai del tutto ad abbandonare l'alveo dell'esercizio stilistico e di retorica nel suo dipanare una storia di migrazione e di ricerca da parte di una figlia della madre, dove il lavoro clandestino delle migranti prende più la via poetica del racconto di vite reiette (lo stupro della madre-bambina della protagonista, costretta a scappare dal
paese di origine per sottrarsi al pubblico ludibrio) piuttosto che quello di denuncia sociale, limitandosi a presentare le vite di madre e figlia sinistramente legate da un destino ineluttabilmente verghiano, da una prospettiva drammaturgica che non diventa mai un teatro di vera denuncia come pure le note di regia proclamano di voler fare, riferendosi a un teatro sociale che in scena abbiamo visto poco.
Forse, come accade per certa canzone cantautoriale che privilegia il testo alla complessità della partitura musicale per non richiedere al pubblico uno sforzo esegetico troppo impegnativo, anche per #Tessuto si è cercato di mantenere il discorso sui binari già conosciuti e frequentati del racconto di migranza per poter godere appieno dell'impianto sceno-grafico e della musica.
Un racconto di migranza che invece di virare nella fiaba (la bella addormentata) o nella citazione paludata (Saviane) sfociando nell'esotismo brasiliano, avrebbe fatto meglio a risciacquarsi nell'Arno della nostra storia recente, quella che ci ha visto protagonisti in prima persona all'inizio del secolo scorso, quando, due generazioni fa o poco più, quello che adesso si accingono a fare le donne di altre nazioni lo facevamo noi popolo italiano, fatto del quale, a quanto pare, si è persa ogni memoria storica.